mercoledì 1 dicembre 2010

Chissà cosa si prova a liberare la fiducia nelle proprie tentazioni

Quando arrivano le prime gelate è il momento giusto per raccogliere la verza e per far la rivoluzione, si sa (mica poi dappertutto, che in Francia son più furbi e loro le rivolte le fanno a maggio così poi puoi andare a far l'amore libero nei prati senza prenderti la polmonite). Manifestazioni, occupazioni, scontri e via. Poi però arriva sempre Natale, che Natale è Natale, e finisce tutto a panettoni e vino. E resta sempre un po' di delusione, per questa rivoluzione che non arriva mai.
Sarà che quando gli studenti scendono in piazza un po' il sospetto ti viene: quanto c'è di vero fastidio per una riforma che non fa altro che tagliare, e quanto c'è di fico nel giocare a guardie e ladri? E mica è una nota di biasimo, giocare a guardie e ladri è fico davvero: chi di noi non ha mai sognato di tirare un sasso, non so, a un poliziotto solo per vedere l'effetto che fa? (No? Davvero? Nemmeno a una vetrina? Mmm, sarò io che ho letto troppe storie di partigiani e son cresciuta un po' storta, con quella voglia lì).
Poi chiaro, non lo fai e non solo perché hai paura che ti becchino, ma anche perché una certa qual morale, seppur laica e relativista, in questi anni te la sei costruita. E poi boh. Serve davvero scendere in piazza, anche senza tirare nulla a nessuno?
E mi sa che non ho una risposta. Quel che penso è che nel tempo in cui ci tocca vivere, una sana rivoluzione (culturale) servirebbe come la pioggia in agosto. Lavare via una generazione che la sua rivoluzione l'ha fatta 40 anni fa e ancora vive di rendita attaccata come le cozze alle poltrone, lavare via la sensazione di impotenza che partiti e sindacati non aiutano a cancellare, riprenderci i diritti che non abbiamo mai avuto, il paese che vogliamo. Quali diritti, e quale paese, poi sarebbe tutto da decidere. Bisognerebbe però cominciare almeno a parlarne, suppongo.
Che a lasciarli soli gli studenti poi si stufano.

martedì 20 luglio 2010

Genova, dicevo, è un'idea come un'altra


Nove anni son passati, e nove anni che ogni luglio mi torna in mente. Genova per noi, che si era giovani e stupidi. Ma era bello, per me che mai ho avuto una tessera di partito in tasca ma nemmeno quella di un'associazione, che non son mai stata capace di credere in qualcosa fino in fondo: le suore vicino agli anarcoinsurrezionalisti, le tute bianche e i comunisti e chi come me una parte dove stare non ce l'aveva.
Ma insieme era bello, come un 25 Aprile solo più grande.
Poi invece ero a casa, quel giorno lì, per via di coliche renali non mie. Stavo fumando in terrazza e faceva caldo, mi chiamano. Vieni a vedere. La televisione accesa, un ragazzo per terra, un rotolo di scotch al braccio, un passamontagna, tanto e troppo sangue. E nella mia testa, senza ancora averlo visto, le stese frasi che urla chi riprende uno dei video più famosi che raccontano quel pomeriggio: «Dio no, porca troia», che magari le parole erano altre ma il succo è lo stesso.
Ed è finita lì.
Il giorno dopo a Genova c'ero anch'io, ma non era più una festa. Sentire il bisogno di scendere in piazza per dire che non si può morire per strada a vent'anni, che non si può neanche se hai un estintore in mano. E la paura quella me la ricordo, come il fumo cattivo dei lacrimogeni che così cattivi non li avevo mai sentiti, e gli occhi neri e gonfi di quei due ragazzi napoletani. E sentire i brividi lungo la schiena per mesi, al solo vedere una divisa. Poi le asssemblee sul Sentierone come veglie funebri, e l'11 settembre che ha segnato la parola fine su qualcosa che stava già morendo per conto suo.
Ma a me, dopo nove anni, mi viene in mente Carlo Giuliani. Non un eroe, non un assassino. Un ragazzo, quello sì. Un pensiero a uno che non doveva morire per strada a vent'anni.

lunedì 3 maggio 2010

Mica bello scoprirsi razzisti.

«Non chiamateci abusivi, non siamo abusivi», avevano detto i ragazzi senegalesi che fanno (che facevano) i parcheggiatori. Abusivi, ovvio. Son quegli aggettivi irrinunciabili, tipo “strage annunciata” o “efferato omicidio”. E io son seduta lì dietro di loro, nel mezzo di una conferenza stampa convocata la domenica a mezzogiorno, e penso che questi qui non sanno neanche tanto bene l'italiano: eh, non sarete clandestini magari, che in qualche modo il permesso di soggiorno ce l'avete. Ma abusivi sì, ragazzi miei. Che senza licenza di vendita è difficile chiamarvi in altro modo. Loro sono lì e parlano, e non posso fare a meno di pensare che è sempre bello quando prendono la parola persone nelle cui vite la parola non è prevista. Che poi siamo noi che non la prevediamo, noi che è domenica ed è quasi l'una e bisogna andare a casa a mangiare il coniglio dalla mamma e non vediamo l'ora che la conferenza stampa finisca. Noi che comunque non si può fare a meno di pensare che con la storia di questi ragazzi (e meno ragazzi, che qualcuno ha già i capelli bianchi) ci riempiamo la nostra pagina di giornale e a posto, che oggi è domenica e la domenica non succede mai niente di bello da scrivere. Questi ragazzi che poi sono uomini e sono lì con i loro ombrelli pronti da vendere appena usciti dalla conferenza stampa, e fan tenerezza questi abusivi che uscendo ti salutano gentili. Non che avessi mai pensato che fossero dei criminali, ma insomma degli abusivi. Quello sì.

Poi ci torni a parlare il giorno dopo, che devi raccontare di come sta andando il primo giorno con la cooperativa di parcheggiatori regolari. Sono ancora lì davanti all'ospedale, con i loro ombrelli da vendere che piove ancora, e finché piove un ombrello fa sempre comodo: uno di loro sta leggendo Dnews, un altro ti spiega come si dice “ciao” in senegalese e io già non me lo ricordo più, al terzo chiedi se non hanno paura visto che la macchina della polizia locale fa una ronda continua avanti e indietro. «Non ho paura, ho la licenza», ti risponde. La licenza? Come la licenza? Lui tira fuori un foglio plastificato, piegato in quattro e religiosamente conservato nel portafoglio vicino al permesso di soggiorno: è una licenza da ambulante, emessa dal Comune di Verdellino e valida su tutto il territorio nazionale. Con tanto di bollo e firma del sindaco.

Mica bello scoprirsi razzisti. E un grazie a quei tre di cui non so il nome, anche per avermi insegnato come si dice buongiorno in senegalese. Anche se poi non me lo ricordo, come si dice.

(C'è una specie di citazione di Michele Serra, qui in mezzo. Che poi non mi si dica che copio)


mercoledì 14 aprile 2010

Il Grande fratello (quello di Orwell, non quello della Marcuzzi)



Ogni tanto cerco il mio nome su Google. Passatempo tanto idiota quanto diffuso. Però facendo il mio lavoro di roba in rete firmata con il mio nome ne gira, e ogni tanto son curiosa di vedere come e in che modo (c'è stato un bel periodo in cui digitando "Mara Mologni" il primo link era sul sito di Forza Nuova. E son soddisfazioni).
Ieri lo rifaccio: il primo riferimento è a 123People.
Beh, provateci. Magari capita lo stesso anche a voi.
Una roba tipo pagine bianche ma più inquietante: c'è la vostra mail, caso mai l'abbiate lasciata da qualche parte on line (la mia è quella dell'ufficio, e ciò è cosa buona: tanto già la usano più quelli di Rifondazione, del Pd e dei Carc che i colleghi della Cgil); ci sono le vostre foto, o meglio le foto collegate al vostro nome; ci sono i filmati pubblicati in rete; ci sono tutti i risultati Google che vi riguardano. C'è perfino la mia tesi di laurea, per dire. Immagino il boom di contatti, a questo punto.
Manca, guarda un po' tu, un indirizzo mail a cui mandare la richiesta di essere cancellati da questa specie di schedario digitale. Ho guardato nelle FAQ, sui termini di servizio. Nulla. Mi sa che non si può.
Non che ci siano sopra cose particolarmente private, ripeto: c'è solo e soltanto roba che chiunque troverebbe digitando il vostro nome su un qualsiasi motore di ricerca. Epperò sono lì, tutte insieme. Nude.
E non lo so: a me questa cosa mi urta parecchio.

martedì 30 marzo 2010

Non è mica una domanda retorica


A me non mi piace come sono fatti quelli lì. Eccerto, quelli lì. Mica noi. Perché io come quelli lì non mi ci sento, anche se poi alla fine li ho votati lo stesso perché c'era uno che mi piaceva e che poi comunque ha perso. Non mi sento neanche come quegli altri, a dire il vero. Quelli che quasi non esisitono più, e un po' è un peccato e un po' è il frutto che si raccoglie dopo aver seminato autoreferenzialità. Ok, non si capisce un cazzo: quelli lì sono il Pd, quegli altri Rifondazione. Di Rifonda ormai non vale nemmeno più la pena di parlare: continuo a penare che sia un peccato, ma tant'è. "Quelli lì" son quello che ci resta, temo, a meno di non mettersi a votare Lega anche noi o di tesserarci felici al partito dell'astensione, che però dopo ci vengono i sensi di colpa per via dei partigiani e tutto il resto.
Lo dicessero: abbiamo perso, e abbiamo perso malissimo. E fa niente se abbiamo preso lo 0,02% in più rispetto alle europee, avevamo giocato da schifo anche quella partita lì. E' stata una catastrofe, ribaltiamo tutto, cambiamo gente e programmi, facciamo delle cose.
Ma davvero, mica tanto per dire. Delle cose. Un programma vero, magari di sinistra.
Tsè. I programmi.
"Diventare un grande partito riformista" non è mica un programma.
Siamo indietro anni luce rispetto a qualsiasi Stato democratico su diritti civili, laicità, procreazione assistita, fine vita e via dicendo. E il Pd che dice? Niente, nonostante la Binetti ci abbia lasciato, bontà sua.
Eh, ma signora mia. C'è la crisi. Questi temi qui mica interessano alla gente. Bah, magari se sei gay, se non ti va di sposarti, se hai una malattia terminale, se non riesci ad avere un figlio o se ti si rompe il preservativo e il medico obiettore non ti dà la pillola del giorno dopo forse un pelino ti frega, di questi temi. Magari. O magari sei solo stufo di vivere nel paese più culturalmente arretrato d'Europa.
Ma fosse pure. Il resto? Il resto mica lo si vede. Non è solo un problema di comunicazione, la sensazione è che manchino proprio le cose da dire.
Io non so bene cosa c'è che esattamente puzza di morto in questa politica. E mica solo a sinistra. Quando ho smesso di sentirmi rappresentata almeno un pochino.
E invece no, perdiamo miseramente (Bersani dice «Non è una vittoria ma neanche una sconfitta») e non me frega più un cavolo. Come fosse NORMALE. O tipo INEVITABILE.
Puzzo di qualunquismo lontano un miglio, lo so.
Ora vorrei sapere, di chi è la colpa? Di Berlusconi? Del Pd? Della sinistra in generale? Mia?
E non è mica una domanda retorica.

mercoledì 20 gennaio 2010

"Non interessa a nessuno"


Delle famigerate torri di Zingonia, il condominio Athena 3 è forse quello nello stato peggiore: lo si vede da fuori, calpestando i cumuli di spazzatura in terra e guardando il numero di finestre murate con cemento e mattoni rossi per evitare che gli appartamenti sgomberati vengano di nuovo occupati abusivamente. E lo si vede entrando nel portone. Lo si sente, soprattutto: la puzza di urina per le scale toglie il fiato, anche se i bambini che tornano da scuola e fanno la gara a chi arriva per primo sembrano non accorgersene nemmeno più. Perché qui una quindicina di famiglie resistono ancora, senza riscaldamento e da ieri mattina un'altra volta senza acqua corrente, dopo anni di bollette non pagate alla Bas. Mentre gli altri condomini del complesso hanno avviato un piano di rientro che prevede rigide rate mensili, gli abitanti di Athena 3 a pagare un centinaio di euro al mese o poco più proprio non ce la fanno. Con qualche eccezione: «Spero che le buttino giù queste torri – dice Singh, un ragazzo indiano che fa i turni in un laboratorio alimentare, e che le spese condominiali le paga – non si può vivere così, sono uno dei pochissimi che lavora in tutto il condominio. Chi ha potuto è scappato, si è trovato un'altra casa. Chi come me non ha soldi a sufficienza resta qui, tra spacciatori di droga e spazzatura». Singh si arrangia con una stufa a metano, ma qualcuno non ha nemmeno quella, spiega. Fa freddo anche in casa di Fatima, madre che vive sola con tre figli e per arrivare alla fine del mese fa le pulizie in casa d'altri, qualche ora al giorno. Il suo appartamento è al settimo piano, l'ultimo, e l'ascensore non funziona come quasi tutto ad Athena 3. «A mezzogiorno devo correre via: come faccio a far tornare a casa i miei figli da soli, con lo schifo che c'è in giro? Ogni tanto la polizia porta via qualche spacciatore, ma tornano sempre o ne arrivano altri. È dura», racconta mentre serve il pranzo ai ragazzi, rigorosamente con piatti e bicchieri di plastica: «Non abbiamo più l'acqua da questa mattina, dobbiamo portarla su dalla fontana, in cortile. Io ho pagato, ho versato ieri 125 euro per le bollette arretrate, ma abito qui solo dal 2006: tutti questi debiti non sono i miei. È già difficile così allevare tre figli, non posso pagare anche per gli altri. E l'acqua l'hanno tolta anche a noi». Di vendere, non c'è nemmeno da pensarci: «Ho affidato questo appartamento a un'agenzia immobiliare di Ciserano un anno e otto mesi fa, ma non abbiamo ricevuto nemmeno un'offerta. D'altra parte, chi vorrebbe venire ad abitare in un posto come questo?». Difficile darle torto: la pulizia e l'aria di normalità che si respira dentro l'appartamento di Fatima, con i tre bambini seduti attorno al tavolo, stride con le feci umane abbandonate lungo le scale da chissà chi, tra vetri rotti, mozziconi di sigaretta e vestiti luridi. «Lo so che è uno schifo – commenta – abbiamo anche provato a pulire, ma il giorno dopo è di nuovo uguale. Non sappiamo più cosa fare, e non interessa a nessuno».