martedì 20 luglio 2010

Genova, dicevo, è un'idea come un'altra


Nove anni son passati, e nove anni che ogni luglio mi torna in mente. Genova per noi, che si era giovani e stupidi. Ma era bello, per me che mai ho avuto una tessera di partito in tasca ma nemmeno quella di un'associazione, che non son mai stata capace di credere in qualcosa fino in fondo: le suore vicino agli anarcoinsurrezionalisti, le tute bianche e i comunisti e chi come me una parte dove stare non ce l'aveva.
Ma insieme era bello, come un 25 Aprile solo più grande.
Poi invece ero a casa, quel giorno lì, per via di coliche renali non mie. Stavo fumando in terrazza e faceva caldo, mi chiamano. Vieni a vedere. La televisione accesa, un ragazzo per terra, un rotolo di scotch al braccio, un passamontagna, tanto e troppo sangue. E nella mia testa, senza ancora averlo visto, le stese frasi che urla chi riprende uno dei video più famosi che raccontano quel pomeriggio: «Dio no, porca troia», che magari le parole erano altre ma il succo è lo stesso.
Ed è finita lì.
Il giorno dopo a Genova c'ero anch'io, ma non era più una festa. Sentire il bisogno di scendere in piazza per dire che non si può morire per strada a vent'anni, che non si può neanche se hai un estintore in mano. E la paura quella me la ricordo, come il fumo cattivo dei lacrimogeni che così cattivi non li avevo mai sentiti, e gli occhi neri e gonfi di quei due ragazzi napoletani. E sentire i brividi lungo la schiena per mesi, al solo vedere una divisa. Poi le asssemblee sul Sentierone come veglie funebri, e l'11 settembre che ha segnato la parola fine su qualcosa che stava già morendo per conto suo.
Ma a me, dopo nove anni, mi viene in mente Carlo Giuliani. Non un eroe, non un assassino. Un ragazzo, quello sì. Un pensiero a uno che non doveva morire per strada a vent'anni.