lunedì 3 maggio 2010

Mica bello scoprirsi razzisti.

«Non chiamateci abusivi, non siamo abusivi», avevano detto i ragazzi senegalesi che fanno (che facevano) i parcheggiatori. Abusivi, ovvio. Son quegli aggettivi irrinunciabili, tipo “strage annunciata” o “efferato omicidio”. E io son seduta lì dietro di loro, nel mezzo di una conferenza stampa convocata la domenica a mezzogiorno, e penso che questi qui non sanno neanche tanto bene l'italiano: eh, non sarete clandestini magari, che in qualche modo il permesso di soggiorno ce l'avete. Ma abusivi sì, ragazzi miei. Che senza licenza di vendita è difficile chiamarvi in altro modo. Loro sono lì e parlano, e non posso fare a meno di pensare che è sempre bello quando prendono la parola persone nelle cui vite la parola non è prevista. Che poi siamo noi che non la prevediamo, noi che è domenica ed è quasi l'una e bisogna andare a casa a mangiare il coniglio dalla mamma e non vediamo l'ora che la conferenza stampa finisca. Noi che comunque non si può fare a meno di pensare che con la storia di questi ragazzi (e meno ragazzi, che qualcuno ha già i capelli bianchi) ci riempiamo la nostra pagina di giornale e a posto, che oggi è domenica e la domenica non succede mai niente di bello da scrivere. Questi ragazzi che poi sono uomini e sono lì con i loro ombrelli pronti da vendere appena usciti dalla conferenza stampa, e fan tenerezza questi abusivi che uscendo ti salutano gentili. Non che avessi mai pensato che fossero dei criminali, ma insomma degli abusivi. Quello sì.

Poi ci torni a parlare il giorno dopo, che devi raccontare di come sta andando il primo giorno con la cooperativa di parcheggiatori regolari. Sono ancora lì davanti all'ospedale, con i loro ombrelli da vendere che piove ancora, e finché piove un ombrello fa sempre comodo: uno di loro sta leggendo Dnews, un altro ti spiega come si dice “ciao” in senegalese e io già non me lo ricordo più, al terzo chiedi se non hanno paura visto che la macchina della polizia locale fa una ronda continua avanti e indietro. «Non ho paura, ho la licenza», ti risponde. La licenza? Come la licenza? Lui tira fuori un foglio plastificato, piegato in quattro e religiosamente conservato nel portafoglio vicino al permesso di soggiorno: è una licenza da ambulante, emessa dal Comune di Verdellino e valida su tutto il territorio nazionale. Con tanto di bollo e firma del sindaco.

Mica bello scoprirsi razzisti. E un grazie a quei tre di cui non so il nome, anche per avermi insegnato come si dice buongiorno in senegalese. Anche se poi non me lo ricordo, come si dice.

(C'è una specie di citazione di Michele Serra, qui in mezzo. Che poi non mi si dica che copio)


Nessun commento:

Posta un commento